Concentrazioni, i magnifici cinque gruppi.

La concentrazione è alta, ed è anche cresciuta negli ultimi anni. I primi cinque gruppi assicurativi italiani hanno infatti una quota esorbitante del mercato. Nel ramo danni si arriva al 69,4 per cento, in quello vita dove si sente di più la presenza delle banche con la bancassurance, al 61,7. Quote comunque molto elevate, che indicano che c’è poco spazio per tutti gli altri gruppi, una trentina circa, che devono spartirsi il 30 per cento del mercato vita e il 38 di quello vita.
In più, i primi cinque gruppi sono quasi del tutto coincidenti sia nel ramo danni che in quello vita. Nel 2008 i primi cinque agglomerati assicurativi nel danni erano, nell’ordine dal primo all’ultimo: Generali, FonSai, Allianz, Ugf (Unipol Gruppo Finanziario), Reale Mutua. Nel segmento vita la classifica, sempre nel 2008, era la seguente: al primo posto c’è sempre Generali, al secondo Poste Vita, al terzo Allianz, al quarto FonSai e al quinto Ugf.
Dei quattro gruppi assicurativi presenti nell’uno e nell’altro caso, tre (Generali, FonSai e Ugf) sono italiani, mentre il quarto (Allianz) è tedesco ed è anche la maggiore compagnia europea. Mentre dei tre italiani, soltanto Generali ha anche una proiezione internazionale, mentre Ugf e FonSai sono di fatto presenti soltanto in Italia. Inoltre, Ugf è controllata dal mondo cooperativo (Lega coop).
La tendenza alla concentrazione, come si diceva, è proseguita nell’ultimo decennio. Secondo i dati elaborati dall’Ania, nel 2002 i primi cinque gruppi controllavano il 66 per cento del mercato danni e il 58 di quello vita. Come si vede, l’aumento della concentrazione è di circa 3,5 punti nel danni e di 3,7 nel vita.
Bisogna vedere se questo livello di concentrazione è un bene o un male. Dal punto di vista della concorrenza, l’attuale assetto non può che essere definito oligopolistico: pochi grandi gruppi si spartiscono di fatto il mercato, lasciando a tutti gli altri una quota secondaria. Di certo, l’attuale assetto non è perfettamente concorrenziale. Quando i big player sono in grado di orientare e influenzare il mercato, per gli altri diventa difficile inserirsi. Del resto, meno sono i big player più facile per loro mettersi d’accordo a tavolino su alcuni punti fermi. Clamoroso fu il caso, alla fine degli anni Novanta, delle multa da ben 700 miliardi di lire (350 milioni di euro circa) comminata dall’Antitrust ai primi gruppi assicurativi, colpevoli di essersi passati delle informazioni sulle tariffe attraverso una società esterna dei cui servizi tutti si servivano.
Va però detto che, dopo quel clamoroso intervento (a lungo, ma vanamente, contrastato dalla compagnie coinvolte) l’Antitrust non ha più riscontrato in Italia la fattispecie delle “intese restrittive della concorrenza”.
Gli Antitrust, sia italiano che europeo, sono intervenuti in varie occasioni fusioni tra società obbligando la compagnia che guidava la concentrazione a cedere rami d’azienda per evitare un eccesso di concentrazione o di limitazione della concorrenza.
È interessante notare che l’Antitrust europea interviene quando anche nel caso di fusioni che avvengano nel solo nostro paese almeno una delle due compagnie sia presente in maniera massiccia in altri paesi dell’Unione. È stato questo, ad esempio, il caso della fusione tra Generali da una parte e InaAssitalia negli anni Novanta. È vero che la fusione riguardava imprese presenti sul solo suolo italiano, ma una di queste due Generali aveva una posizione forte anche in altri paesi europei.
Né il governo né l’Antitrust sono però mai intervenuti direttamente sul livello di concentrazione che esiste. Questo è infatti considerato un dato di fatto, ed è anche vero che le cose andrebbero viste in uno scacchiere più ampio di quello italiano, dunque a livello europeo. Ma se non c’è stato alcun intervento diretto per favorire eventuali “deconcentrazioni” nel mercato (un intervento difficile persino da ipotizzare), l’ultimo governo Prodi è intervenuto massicciamente (con le “lenzuolate” dell’ex ministro delle Attività produttive, Bersani) per favorire una maggiore concorrenza nel mercato.
L’elenco delle misure è lunghissimo ma quelle che hanno inciso di più sono stanzialmente tre: 1) la libertà lasciata agli agenti di vendere anche prodotti di altre compagnie (fine del monomandato), l’applicazione anche ai familiari dei coefficienti più favorevoli nel ramo Rc auto al capofamiglia, la fine dei contratti poliennali.
Difficile dire se queste misure abbiamo agito in modo da agevolare una maggiore concorrenza, favorendo quindi le imprese meno grandi o quelle straniere in cerca di un ingresso nel mercato italiano. Tuttavia è innegabile che le tariffe Rc auto abbiano avuto una diminuzione: tra il 2007 e il 2009 la contrazione della raccolta premi auto è stata complessivamente dell’8 per cento. In generale, fra gli addetti ai lavori prevale l’idea che l’effetto delle liberalizzazioni di Bersani ci sia stato, anche se al momento non è dato di sapere quanto abbia rivitalizzato la concorrenza in un mercato che è stato caratterizzato anche da una crescita dei sinistri.
Fonte Affari e Finanza Repubblica.it