isvap

Tratto da: Professione Carrozziere

Scritto da: Massimo Perrini

In memoria dell’Isvap: non saranno certo i carrozzieri a lamentarsi per la non prematura dipartita.

Questa pare proprio essere la volta buona: con la formale scusa dei tagli l’Isvap chiude e la vigilanza sulle assicurazioni passa alla Banca d’Italia.

Almeno finirà la liturgia che negli ultimi quindici anni ha accompagnato tutti i disastri legislativi partoriti dal consociativismo tra il “vigilante” alcuni pseudo consumatori e gli assicuratori.

Lo schema era collaudato: l’Ania apriva il coro delle lamentazioni. La autoreferenziale compagnia di giro dei consumeristi de noantri faceva il contro canto e l’Isvap apponeva il sigillo di presunta terzietà proseguendo  nel  ruolo di sponda istituzionale dell’Ania, ruolo che che ricopre fin dai tempi della vicenda delle sanzioni Antitrust. E il governo di turno si adeguava ai voleri delle compagnie fingendo di concertare.

I passaggi sono noti: l’organismo di vigilanza sulle assicurazioni, che come è noto era diretto da un ex amministratore delegato di primaria compagnia, avanza ichieste di modifiche normative che hanno sistematicamente come unico effetto la contrazione dei risarcimenti per i danneggiati e il governo si appresta a rispondere.

Macrolesioni.

            Per chiarire un esempio, l’ultimo: questa volta in sede di audizione (al 31 luglio) alla Commissione Industria del Senato l’ISVAP no ha mancato di fare l’ennesimo spot a favore delle imprese chiedendo la rapida attuazione della tabella sulle macrolesioni, che altro non è che un taglio dei risarcmenti per le vittime della strada.

            A dire dell’Isvap “Sempre in tema di danno biologico, si auspica – in questo specifico caso insintonia con il mercato – la ripresa dell’iter legislativo per l’emanazione del D.P.R che completi la regolamentazione normativa con riguardo alle c.d. macrolesioni (lesioni di non lieve entità: 10-100% di invalidità permanente), che potrà portare apprezzabili benefici in termini di uniformità di valutazione, riduzione del contenzioso (giudiziario e stragiudiziario), stime più puntuali ed eque del costo dei sinistri.”

            Tradotto in italiano: se ora le compagnie pagano 100 per un danneggiato sulla base dei criteri attualmente in uso, criteri dunque prevedibili e ugali in tutta Italia a seguito di una recente pronuncia della Cassazione, ora le compagnie quel medesimo danno lo pagheranno molto meno. Semplicissimo, Meno semplice spiegarlo alle vittime della strada, e infatti nessuno, nemmeno l’iSVAP è in grado di spiegare perché si debba fare l’ennesimo regalo alle assicurazioni.

            Tanto più che alla favola della riduzione dei premi lo stesso ISVAP è costretto a mostarre di non credere: Quello che purtroppo dobbiamo constatare è che gli operatori del settore assicurativo, soprattutto le imprese – attraverso la loro Associazione di categoria (ANIA) – danno un’interpretazione delle norme che, di fatto, non consente di far pervenire ai consumatori quei vantaggi che le norme stesse presuppongono; l’apprezzamento va invece solo a quelle disposizioni – naturalmente reputate “sempre poche” – che portano benefici diretti e immediati ai loro conti.

            Obbligatorietà del risarcimento diretto.

            E poi ancora: l’ISVAP in ogni occasione va reiterando la richiesta di “rafforzare l’obbligatorietà del risarcimento diretto”.

L’argomento è noto. I Giudici di merito prima, e da circa un anno anche la Corte Costituzionale(sentenza 180 del 2009), hanno chiarito che il risarcimento diretto introdotto col nuovo Codice delle Assicurazioni costituisce una ulteriore opzione per il danneggiato che si affianca alla tradizionale azione di responsabilità contro il danneggiante e contro l’assicuratore di quest’ultimo. In buona sostanza in caso di incidente stradale,  ricorrendo certi presupposti, il danneggiato ha diritto di farsi pagare anche dalla propria compagnia, ma solo se  lo ritiene opportuno o più conveniente.

            Questo è il quadro. Che non piace agli assicuratori nonostante il risarcimento diretto, si stia rivelando un disastro di proporzioni epiche.

            Omettendo dettagli troppo tecnici, peraltro anche divertenti, quali i comportamenti di quelle compagnie che, per lucrare i rimborsi a forfait previsti nel sistema delle compensazioni introdotto col risarcimento diretto, ricorrono a espedienti non proprio commendevoli. Ad esempio c’è quella compagnia che pagava ai propri assicurati raffiche di sinistri da trecento euro “salvo conguaglio” per lucrare il forfait pieno. C’è poi quell’altra compagnia che inviava alle “consorelle” che assicurano le controparti dei propri assicurati che hanno patito  sinistri passivi con dinamiche pacifiche (ma non denunciate a doppia firma) “flussi negativi” nell’ultimo giorno utile; ciò avveniva nella migliore ipotesi per bloccare le liquidazioni da parte delle “consorelle” (che ovviamente … ringraziano, meno felici i loro assicurati) o molto più verosimilmente per lucrare in camera di compensazione un indebito indennizzo forfettario su base concorsuale. In sostanza le compagnie si sono dimostrate in certi casi degne dei loro peggiori assicurati ponendo in atto una serie di comportamenti di “moral hazard” che, se posti in essere dagli assicurati, avrebbero molto più prosaicamente la denominazione di “bidoni”.

            E questo accade mentre la arzigogolata impalcatura giuridica sulla quale si sarebbe dovuto reggere l’impianto del “mostro” è stata smontata pezzo a pezzo dalla giurisprudenza e dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza 180 del giugno 2009, non ha fatto altro che prendere atto della prevalente interpretazione dei giudici di merito; contemporaneamente la prassi liquidatoria ha visto, e vede tutt’ora,  una miriade di sinistri “monofirma”( cioè quelli dove la responsabilità non appare certa, non essendo stata concordata tra le parti attraverso la firma congiunta di una “constatazione amichevole”), liquidati nella migliore delle ipotesi al 150%, vale a dire un danneggiato viene pagato al 50% e l’altro al 100% .

            In un simile quadro l’Isvap invece di prendere atto della situazione e cercare di attenersi al ruolo per il quale i suoi quasi quattrocento dipendenti e i suoi consiglieri di amministrazione (nominati con i criteri a tutti noti) sono retribuiti, cioè vigilare, si mette a fare quello che ha sempre fatto, cioè il gioco di sponda con l’Ania, arrogandosi pure impropri ruoli da “esperto” per scelte di  politica legislativa in materia assicurativa.

            La RC auto obbligatoria non è terra di conquista per imprenditori protetti da governi sempre amici ma è una basilare forma di garanzia per i danneggiati da sinistro da circolazione stradale. Purtroppo per certe lobby assicurative, la normativa comunitaria ha delineato un quadro chiarissimo che non è possibile modificare con funambolici espedienti.

            E di questo qualcuno continua a non darsi pace come dimostrano i continui tentativi lobbistici di eludere pervicacemente il disposto della Corte Costituzionale, che ancora una volta è stata lapidaria nella sua sentenza 180 del giugno 2009: “Che il risparmio per le compagnie assicurative possa concorrere a costituire la ratio legis (del risarcimento diretto )  è possibile, anche se il richiamo dell’art. 150 del Codice delle assicurazioni ai “benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto”, quale principio per la cooperazione tra le imprese di assicurazione nell’approntamento della normativa secondaria emanata in attuazione, non equivale ad un suggello della esclusività dell’azione diretta contro l’assicuratore del danneggiato quale condicio sine qua non per l’ottenimento dello scopo di riduzione dei premi.”

 

I precedenti: l’Isvap e l’Antitrust.

            L’Isvap in questo senso è più che recidiva; tutti ancora ricordano la maxi sanzione che l’Antitrust ebbe a comminare a numerose  compagnie per accordi sulle tariffe. In quella vicenda il presunto controllore Isvap ebbe a schierarsi con le assicurazioni che avrebbe dovuto controllare appoggiandone la opposizione alla maxisanzione da700 miliardi di lire,  350 milioni di euro, e sul punto l’Isvap si  vide dar torto prima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato.

            Anche a prescindere dal punto dolente dell’indipendenza dell’Isvap dalle proprie controllate con la vicenda Fonsai si è passato il segno: le cronache sono note, è noto che i vertici dell’Isvap sono stati sentiti dalla Procura di Milano, è noto che nell’Istituto non regnava certo un clima di particolare serenità e il Governo non ha francamente più potuto far finta di niente.

            Il ruolo di questa authority ora pare davvero giunto ad esaurimento: con la spending review si sono concretizzarsi le ricorrenti ipotesi di assorbimento dell’ente nella struttura di vigilanza della Banca d’Italia, e il declino per l’ente di Via del Quirinale arriva in un momento in cui le cui esternazioni di politica assicurativa avevano già perso del tutto ogni autorevolezza e rilevanza.

Angelo Massimo Perrini avvocato in Torino

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